venerdì 26 maggio 2017

Alastair Crooke - L'isolato bivio di Donald Trump




Traduzione da Consortium News, 19 maggio 2017.


Fermiamoci un momento, prendiamo un respiro profondo, e riflettiamo. È evidente che la presidenza Trump è a un punto di svolta. Non perché ci siano le prove di qualche malefatta; a tutt'oggi esiste una fiumana di illazioni ma nessuna prova. Anzi, gli eventi hanno concorso ad imporre un cambiamento non perché il presidente potrebbe essere messo in stato d'accusa -cosa poco probabile in considerazione della quantità di prove e di voti al Congresso che sarebbero necessari- ma perché negli ultimi giorni sono venute alla luce la grande ampiezza e la viscerale alacrità con cui si presentano le forze decise ad abbattere il presidente, con qualsiasi mezzo.
Il presidente Trump deve vedersela con i grandi media propensi a scorgere istericamente collusioni con la Russia ovunque, al punto di domandarsi come mai al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, all'ambasciatore russo e ad un fotografo della stessa nazionalità sia stato consentito accedere allo Studio Ovale, e di compromettere così la "sicurezza" ameriKKKana. Trump deve affrontare una coalizione di clintoniani, repubblicani "della ditta" e neoconservatori, e soprattutto una quinta colonna nei servizi di informazioni che considera ogni tentativo di distensione con la Russia  alla stregua di un tradimento puro e semplice.
Il direttore dello FBI James Comey, rispondendo in sede di comitato giudiziario del Senato ad un'interrogazione del senatore Lindsey Graham, repubblicano del South Carolina che gli chiedeva "che genere di minaccia" la Russia rappresenta "per il processo democratico" (Graham dunque non voleva informazioni sulle potenzialità militari russe, ma sulla minaccia russa nei confronti delle democrazie occidentali), ha detto "Certamente; a mio parere è la minaccia più grave per ogni paese del mondo, date le sue [della Russia] intenzioni e le sue capacità."
si potrebbe concludere con buone ragioni che Trump sarà alla fine sopraffatto da questo macello. Di sicuro il cicaleccio dalla bolla mediatica della costa orientale è soverchiante. Proprio questo costituisce una minaccia essenziale per la presidenza: questo percolare di illazioni che il professor Stephen Cohen ha chiamato "accusa di tradimento."
"Inoltre," ha aggiunto Cohen, "c'è tutta una gamma di affermazioni secondo cui Putin avrebbe aiutato Trump ad arrivare alla Casa Bianca, e secondo cui il personale vicino a Trump avrebbe fatto con i russi cose che non si devono fare... Questo [insieme di illazioni prive di qualunque prova concreta] è arrivato all'incredibile... E secondo noi è diventato una minaccia alla sicurezza nazionale di per sé. "


Un'amministrazione paralizzata

È stato anche nominato un Grande Accusatore. Un osservatore così ha riassunto la cosa: "Ecco come si comportano i grandi accusatori... Essi addobbano il presidente, lo privano di credibilità politica, lo separano dai suoi sostenitori e paralizzano l'amministrazione. Nessun legislatore li porterà a sostegno nel timore di quello che l'accusatore potrebbe scoprire. Tutti cercheranno di ripararsi invece di lavorare con Trump ha qualche cosa di concreto. Nominando un accusatore [il vice procuratore generale Rod] Rosenstein ha stroncato qualsiasi possibilità di lavorare efficacemente. Niente riforma sanitaria. Niente tagli alle tasse niente riforme. Tutto questo mentre aspettiamo i risultati di un'indagine sul nulla in uno scandalo da nulla."
Il frastuono è soverchiante, ma è quasi tutto prodotto dalle elite della costa orientale, che per forza di cose sono quelle che fanno più rumore. I sondaggi possono rilevare che il gradimento di Trump sta crollando, ed è così; ma i sondaggi mostrano anche la crescente polarizzazione tra la base repubblicana e lo establishment della costa orientale: l'81% degli elettori della Clinton è favorevole all'impeachment del presidente, l'83% degli elettori di Trump è fermamente contrario. Allo stesso modo il 91% degli elettori della Clinton "disapprova" Trump, laddove l'86% della sua base invece lo "sostiene". È chiaro che gli "impresentabili" sono rimasti profondamente irritati da questo discorso dell'impeachment.
Il punto di svolta è proprio questo. La base che sostiene Trump ha identificato senza mezzi termini come stanno le cose e l'argomento è ampiamente illustrato sui siti della nuova destra e della destra alternativa. L'accanimento non riguarda la ricerca di "prove" probabilmente inesistenti: quello della "intromissione russa" è un tema insistito che è emerso innanzitutto da messaggi di posta elettronica sottratti al Comitato Nazionale Democratico da quello che venne all'inizio additato come uno hacking russo effettuato tramite una società privata, la Crowd Strike, piuttosto che da una fuga di notizie vera e propria ad opera di Seth Rich, che sarebbe stato poi assassinato. Le prove di tutto questo sono adesso contestate dagli esperti. Poi c'è il contributo dello screditato "dossier sporco" dell'ex spia britannica Christopher Steele, e quello delle intercettazioni degli assistenti di Trump, che a tutt'oggi non hanno evidenziato prove di collusioni elettorali.
Piuttosto è la pioggia di illazioni -secondo quanto sostiene la base di Trump- che dovrebbe affossare il gradimento del Presidente presso i suoi sostenitori al punto che anche i deputati repubblicani al Congresso finiranno per abbandonarlo e per unirsi al "movimento" che intende deporlo, grazie a questo o a quel meccanismo stabilito dalla costituzione statunitense.
Difficile serva allo scopo intralciare la giustizia. Jonathan Turley insegna diritto alla George Washington University e ha detto che il memoriale dell'ex direttore dell'FBI James Comeys non presenta "alcuna prova per mettere in stato d'accusa" Trump. Turley ha detto:
Anzi, esso solleva interrogativi sul comportamento sotto traccia di Coney, almeno quanti ne solleva su quello di Trump. Potremmo cominciare con le leggi federali, in particolare l'articolo 1503 del diciottesimo titolo del codice, che richiede più di quello che Comey avrebbe scritto nel proprio memoriale. Ci sono decine di diverse fattispecie  nel caso dell'intralcio alla giustizia, si va dalle minacce ai testimoni alle pressioni sui giurati. Qui non c'è nulla di tutto questo, e si esula dalla norma generale sui tentativi di intralcio all'obbligatorietà dell'azione giuridica.
Inoltre, resta l'onere di dimostrare che l'intento era quello di esercitare influenza tramite la corruzione, e Trump potrebbe dire che ha fatto poco altro che non esprimere preoccupazione per un antico sodale. L'espressione "tramite la corruzione" in realtà ha definizioni diverse a seconda delle varie norme sull'intralcio, ma spesso implica dimostrare che qualcuno ha agito "con l'intento di assicurare un illecito beneficio a se stesso o ad altri". Esortare alla clemenza o difendere qualcuno con cui si è in rapporti è improprio, ma non significa per forza procacciare un illecito beneficio.
Quello che questo punto di svolta reclama, affermano i sostenitori di Trump, è insistere affinché lo FBI chiuda velocemente le indagini, e che si proceda al contrattacco contro gli istigatori di quei gruppi di potere, quali che siano, e contro le loro talpe, "insorti che operano all'interno del sistema per cacciare Trump dalla presidenza" e che stanno agevolando la fuga di notizie verso i mass media.
Siamo ad un bivio. Trump deve fermare questo cicaleccio, o vedere il suo mandato presidenziale finire in polvere. La diffamazione politica può rivelarsi un'arma a doppio taglio, ed Hillary Clinton non era certo un modello di virtù.


Un traguardo sfuggente

In questo senso, a Trump adesso serve più che mai una politica che punti ai risultati. Un successo legislativo sul piano interna, secondo ogni evidenza, non è alla sua portata, ma le convulsioni della politica di Washington possono spronare una Wall Street supina e sonnolenta a riprendere in considerazione qualche rischio -il VIX, un indice della volatilità, ha toccato il minimo- soprattutto adesso che gli operatori stanno avvertendo i propri clienti che "non si aspettino di [essere] salvati dalla FED, questa volta." INsomma, il piano di reflazione di Trump sembra ancora di là da venire, e ci vorrà parecchio tempo sempre che per quest'anno se ne faccia qualcosa.
In una situazione del genere la politica estera può acquistare la priorità. Abbiamo già notato che il processo di pace di Astana ha visto una Casa Bianca più propensa, rispetto ai tempi di Obama, a collaborare con la Russia, la Turchia e l'Iran perché si arrivi ad un qualche accordo in Siria. La "sconfitta" dello Stato Islamico a Raqqa e a Mossul potrebbe costituire un successo trionfale, tale da galvanizzare la base di Trump.
Trump è stato coraggioso, dal punto di vista politico, ad invitare Lavrov nell'Ufficio Ovale proprio quando la ridda di voci sulla collusione con la Russia stava raggiungendo il massimo. Pare che la Russia ed i suoi alleati siano pronti a concedere a Trump la conquista di Raqqa: il Ministro degli Esteri siriano lo ha concretamente ammesso. In cambio, la Casa Bianca ha messo alla prova Russia ed Iran.
La retorica ostile di Washington contro l'Iran dopo Astana si è fatta notare per la propria assenza ed è stata rinnovata la rinuncia alle sanzioni secondarie secondo quanto prescritto dall'accordo sul nucleare. Pare che Trump abbia capito che i generali James Mattis (Segretario alla Difesa) e H.R. McMaster (Consigliere per la Sicurezza Nazionale) avessero l'intenzione di trascinare la presidenza in una serie di conflitti impossibili da vincere. Almeno questo sembra il messaggio di Astana, occasione che ha messo le leve della situazione decisamente in mano ai due negoziatori, il Ministro degli Esteri russo Lavrov ed il Segretario di Stato Rex Tillerson.
Il fatto è che il massacro del Presidente e del processo politico di Astana pare destinato a continuare. Si ricorderà che Obama, che era ancor più dubbioso di Trump, non ha mai pienamente appoggiato le maratone negoziali dell'allora Segretario di Stato John Kerry e del Ministro degli Esteri Lavrov, e si è visto sabotare ogni sforzo dallo stesso Pentagono (l'incidente a Deir ez Zor in cui sono morti sessantotto soldati dell'Esercito Arabo Siriano che stavano difendendo la loro base assediata dai miliziani dello Stato Islamico) e dal plateale errore commesso dal Segretario alla Difesa Ashton Carter sulla condivisione con i russi delle informazioni sullo Stato Islamico e su Al Qaeda.
I segnali di quest'opera di sabotaggio sono già evidenti. Il dubbio annuncio fatto dall'assistente del Segretario di Stato ad interim Stuart Jones sulla scoperta da parte degli USA di prove dell'esistenza di un crematorio in un carcere siriano, destinato a cremare i resti di prigionieri vittime di esecuzioni di massa, è arrivato proprio alla vigilia di una tornata di colloqui sulla Siria a Ginevra. Due giorni dopo Jones si è dimesso dal Dipartimento di Stato, ed un collega ha notato che anche se Jones andava in pensione in anticipo per motivi personali, il suo era un altro caso di "funzionario governativo di rango elevato e dotato di vere competenze che abbandonava il posto". Oppure, in altri termini, un altro dissidente anti Trump che abbandonava la nave.
Anche Anne Barnard del New York Times ha notato che la tempistica di queste affermazioni sul conto del crematorio sembrava "politica". Certo, una tempistica politica, ma contro i russi o contro Trump? Esistono anche resoconti che affermano che un contingente di forze speciali statunitensi e britanniche sta agendo nella Siria meridionale per impedire qualsiasi avanzata dell'Esercito Arabo Siriano e di Hezbollah tesa a riprendere il controllo della frontiera con l'Iraq. Il 18 maggio un raid aereo guidato dagli statunitensi ha colpito forze armate siriane giudicate troppo vicine alla base anglostatunitense.
Insomma, il Presidente Trump dovvrebbe fare attenzione. Mettere in piedi un accordo di pace richiede grossi sforzi, ma buttare tutto all'aria è affare di un momento. Ed il Ministro della Difesa saudita, principe Mohammed Bin Salman, dovrebbe notare che in questo momento Trump potrebbe avere più interesse a sconfiggere lo Stato Islamico piuttosto che sopportare un'altra lezione dei sauditi sulle malefatte dell'Iran. Comunque, Trump sarà felice di ricevere il malloppo con cui i sauditi paiono intenzionati a fargli la doccia. Si parla di trecento, quattrocento miliardi di acquisti di armamenti. "Mica male," direbbe Donald.

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