sabato 10 giugno 2017

Alastair Crooke - Trump e la gestione degli alleati



Traduzione da Consortium News, 26 maggio 2017.

Un osservatore ha recentemente notato che per capire la politica estera di Donald Trump non occorre molto sforzo: Trump sta facendo esattamente il contrario di quello che ha fatto Obama. Beh, è una battuta, ma come in tutte le buone battute qualche cosa di vero c'è.
Il presidente Obama, a ragione o a torto, era profondamente sgradito nello stato sionista e in Arabia Saudita; quindi Trump si sta comportando come un amicone di entrambi i paesi. A volte ci sono motivazioni elementari a sottendere quella che ha l'aria di essere una strategia complessiva. Obama ha aiutato l'Iran, Trump ne ha appena parlato male. Obama parlava di strategia generale multilaterale, Trump ha sottolineato gli accordi d'affari dei suoi businessmen.
Il dare in pasto al consesso degli emiri e dei monarchi sunniti quanto di meglio esso desidera -l'Iran alla berlina, presentato come malevolo sostenitore di ogni terrorismo- doveva servire, nelle intenzioni, a controbilanciare in qualche modo la blanda riprovazione del Presidente Trump nei confronti del mondo sunnita a cagione della sua tolleranza nei confronti dell'estremismo. Tutto per compiacere lo stato sionista e preparare il terreno alla grossa ambizione del genero di Trump Jared Kushner di sancire la pace tra stato sionista e palestinesi. Quando si è trattato di venire al punto tuttavia, il Presidente non aveva nulla da dire nello stato sionista; quindi la portata dell'iniziativa si riduce al fatto che nulla ha detto e nulla poteva dire.
Insomma, il primo scopo della visita era quello di togliersi per qualche giorno da Washington e dai suoi assillanti grattacapi e di mettere in mostra il Presidente nella contesto che più gli è gradito: quello di uno che fa affari, riporta lavoro negli USA e rimette in piedi antiche alleanze che Obama aveva indebolito.
Le intenzioni avevano almeno il pregio della chiarezza. Solo che non ha funzionato nulla. Il regista dell'iniziativa (Jared Kushner, sembra) e il redattore dei discorsi (Stephen Miller, pare) hanno combinato un pasticcio. Il colpo d'occhio era orrendo: lo sfarzoso ed accogliente benvenuto dei sauditi può esser sembrato un antidoto gradito all'oscuro clima politico di Washington DC che minaccia tempesta, ma in Medio Oriente la situazione non è stata certo intesa in questi termini. La credibilità del Presidente risentirà per molto tempo di questo agire scriteriato. Le immagini lo assilleranno.

Un messaggio in un contesto sfarzoso

Lo staff presidenziale non lo ha capito? Non ha afferrato la realtà rivelatrice che la stessa accoglienza sfarzosa riservata a Trump, la costruzione di questo spettacolo di lustrini alla presenza dei leader sunniti precettati e schierati, la smaccata adulazione, l'accettazione delle onorificenze, la pacchianeria dei doni e per concludere l'accettazione di una carovana di quattrini sono state escogitate a bella posta per trasmettere un chiaro messaggio politico?
L'Arabia Saudita ha indicato in questo modo ai leader sunniti presenti che Trump ha riconosciuto implicitamente a re Salman il ruolo di leader dell'Arabia e dell'Islam. In sostanza, esattamente così in Medio Oriente si indicano il vassallaggio, la sottomissione ad una leadership politica e gli obblighi che ne derivano. E così verrà inteso il segnale in tutto il mondo.
Chi ha scritto i discorsi per Trump non ha capito -quando gli hanno detto di far pari infarcendo i discorsi presidenziali di epiteti contro l'Iran- che esistono limiti, sia pure invisibili, che non è saggio superare? Trump non era consapevole dell'inopportunità -per non chiamarla smaccato stravolgimento della realtà- di ritrarre gli sciiti come terroristi e basta, e di farlo da un palco in Arabia Saudita?
Tutto condotto maldestramente. Se si voleva far pari, lo si poteva fare meglio. Il redattore non aveva presente il fatto, tanto per indicarne uno, che sono le centinaia di migliaia di profughi sciiti iracheni che hanno visto i loro paesi e le loro terre conquistati, le loro case razziate, i loro uomini macellati dallo Stato Islamico a costituire ora la spina dorsale della milizia irachena delle Unità di Mobilitazione Popolare, la stessa che Trump bolla come terrorista? Persino nella stampa sionista sono stati molti a far notare che il ritratto dell'Iran come del peggior babau fatto da Trump era fuori da ogni logica, anche se il Primo Ministro sionista Benjamin Netanyahu ne è a quanto sembra rimasto entusiasta. I normali cittadini dello stato sionista com'è la regione e come sono le sue realtà lo sanno.

La danza delle spade

E lasciamo perdere poi gli altri penosi spettacoli che hanno segnato questa visita, l'imbarazzante danza delle spade, l'adulatoria approvazione delle signore Trump per il "progresso" della condizione femminile in Arabia Saudita, il presentarsi in Vaticano della first lady Melania e della figlia Ivanka in nero e a capo velato disattendendo invece puntualmente le consuetudini del mondo musulmano. I sauditi ne avranno senz'altro tenuto conto.
Esistevano intenti più profondi, in questo blandire i vertici del Golfo? E se esistevano, hanno risentito della maldestra concezione e della maldestra messa in atto? L'obiettivo ultimo di Trump non ne ha certo guadagnato: al contrario, il modo in cui è stata condotta l'iniziativa ha senz'altro complicato le cose.
A Trump, per il corso del presente anno, serve fare risultato. La caduta delle città controllate dallo Stato Islamico di Raqqa e di Mossul consentirebbe al Presidente di affermare con ragione di averlo sconfitto. Una purchessia stabilizzazione della Siria ed un alleviamento del conflitto sarebbero delle ben accette ciliegine sulla torta.
I russi in Siria si stanno comportando come un funambolo da circo che abbia ad un estremo del proprio bilanciere l'Iran, e la Turchia a fare da contrappeso all'altro estremo. La Russia ha bisogno di entrambi per mantenersi in equilibrio nel corso della traversata. L'Iran sostiene Damasco e la Turchia è il quartiermastro delle forze armate dell'insurrezione. Tutto questo costituisce uno degli aspetti della "gestione degli alleati", secondo il vecchio concetto alla Kissinger sugli equilibri regionali.
L'AmeriKKKa sta agendo coordinandosi con la Russia e a differenza della passata amministrazione sta attivamente sostenendo il processo di cui i russi sono protagonisti pretendendo collaborazione da parte delle formazioni ribelli "moderate", che sta al tempo stesso facendo entrare nell'ordine di idee che gli Stati Uniti non hanno intenzione di intervenire a loro favore per rovesciare lo stato siriano.
Al momento attuale gli Stati Uniti stanno aspettando che i russi compiano progressi nel mantenere in vigore le zone di tregua e nel gestire da una parte una Turchia dal comportamento erratico e dall'altra l'Iran ed i suoi alleati. Gli Stati Uniti vogliono che Hezbollah e l'Iran rinuncino alla Siria. La demonizzazione dell'Iran nei discorsi che Trump ha tenuto a Riyadh e nello stato sionista possono essere stati motivati anche dall'intenzione di forzare la mano della Russia sui propri alleati, ovvero il farli rientrare nei ranghi. La Russia, l'Iran e la Turchia (minacciata dalla presenza armata dei curdi siriani) secondo il punto di vista dell'Amministrazione si trovano in un periodo di "messa alla prova".

La gestione degli stati del Golfo

A fare da contraltare alla gestione russa dei propri alleati è la gestione degli alleati degli Stati Uniti, dei paesi del Golfo. Forse fra i propositi del presidente Trump per la visita in Arabia Saudita c'era anche questo, anche se in primo luogo si trattava di concludere accordi e di riportare in patria posti di lavoro. Trump non vuole che l'Arabia Saudita rovesci le sperate vittorie a Raqqa e a Mossul.
Insomma, il quadro generale è che nel caso il processo di Astana decolli in qualche modo, ai russi spetti inquadrare e controllare i propri alleati e agli ameriKKKani di fare lo stesso con il mondo sunnita.
Si tratta di una prospettiva ormai irrealistica? Come abbiamo già indicato, è possibile che i sauditi abbiano interpretato la visita di Trump a Riyadh in modo diverso da quello messo in conto dalla Casa Bianca.
Trump si è espresso in modo avventato sul conto dell'Iran e l'Arabia Saudita e lo stato sionista cercheranno verosimilmente di inchiodare il presidente degli Stati Uniti ad una traduzione opera nazionale che rifletta alla lettera quanto detto; pretenderanno che Trump onori propri obblighi così come se li è assunti e nel modo in cui se li è assunti durante la visita a Riyadh sotto gli occhi di praticamente tutto il mondo sunnita.
A Riyadh Rex Tillerson si è espresso in modo molto più sfumato. Ha detto che si aspetta dei colloqui con l'Iran a tempo debito. I funzionari del Pentagono nel corso dell'ultima conferenza stampa settimanale hanno preso l'iniziativa di affermare, all'indomani dell'incidente di al Tanf in cui le forze statunitensi hanno nuovamente bombardato truppe siriane, che gli USA non hanno nel mirino le forze iraniane in Siria, o quelle siriane propriamente dette. Hanno fatto intendere che l'attaco contro le forze siriane è stato frutto di un errore di un comandante sul terreno e che la cosa non si ripeterà.
La questione essenziale, dopo la maldestra coreografia della visita di Trump in Arabia Saudita, è questa: i russi perderanno fiducia nei confronti di una partecipazione significativa degli USA all'iniziativa di Astana?
Le conseguenze impatterebbero per forza sulla prospettiva di una più ampia distensione fra USA e Russia. La Russia non può permettere che Astana crolli per intero: la sconfitta dello Stato Islamico e di al Qaeda è per i russi una questione fondamentale per l'interesse nazionale. I russi probabilmente arriveranno comunque a concludere che Washington non ha grandi prospettive di coinvolgere l'Arabia Saudita in un ruolo attivo per Astana. I commentatori dello stato sionista si sono mostrati d'altro canto assai scettici sulla fattibilità di un'alleanza regionale fra sunniti e stato sionista, data la fragilità politica di Netanyahu.

Le invettive costano

La filippica di Trump contro l'Iran inasprirà senz'altro le obiezioni dei sunniti nei confronti di un qualsiasi ruolo l'Iran possa ricevere nel controllo delle zone di de-escalation del conflitto siriano, e più in generale in Siria. Questo complicherà notevolmente le cose per i russi e in ultima analisi potrebbe anche inficiare l'iniziativa di Astana. Se Trump non riesce a coinvolgere i sunniti, è possibile che Mosca si comporti in modo più assertivo. La Russia magari può concedere agli USA il monitoraggio del triangolo di de-escalation a ridosso del Golan, ma sta sostenendo le forze di Damasco ed i suoi alleati nel ripristino del controllo governativo sul sud est del paese e sulla frontiera con l'Iraq. Questo significa che tra Iraq e Siria non vi sarà alcuna zona cuscinetto, come invece speravano gli USA e lo stato sionista.
La dichiarazione che segue forse rappresenta la prima conseguenza della presa di posizione di Trump contro gli sciiti. Southfront riferisce che "il governo iracheno ha ufficialmente confermato che collaborerà con la Siria, con l'Iran e con la Russia per mettere in sicurezza la frontiera fra Siria ed Iraq. Secondo il Ministro dell'Interno iracheno esistono fra i quattro paesi accordi di collaborazione allo scopo. I media iracheni hanno anche [citato] funzionari iracheni [che affermavano] che l'Iraq ed i suoi alleati non lasceranno che venga realizzata alcuna zona cuscinetto fra i due paesi."
Le Unità di Mobilitazione Popolare sono la milizia irachena che sta già prendendo parte attiva all'operazione militare, insieme a Hezbollah e all'esercito siriano, all'interno della Siria e destinata a riprendere il controllo della regione sudorientale del paese: dal lato iracheno invece le Unità di Mobilitazione Popolare stanno sigillando la frontiera e tagliando le linee di rifornimento dello Stato Islamico lungo la valle dell'Eufrate. Questo è importante.
Quando mi sono recato in Iraq il mese scorso ho assistito alla mobilitazione e alla galvanizzazione della "nazione sciita" irachena. Non si tratta di un fenomeno istigato dall'Iran: è un risveglio direttamente collegato al diffondersi della guerra contro lo Stato Islamico nel nord del paese, ed è prodromo ad un mutamento dei centri di gravitazione del potere all'interno dell'Iraq.
Se l'adozione da parte di Trump della narrazione sunnita contro l'Iran e contro le milizie sciite doveva favorire un aumento dell'impegno saudita in Siria e nello Yemen, i suoi caustici commenti sull'Iran e sugli sciiti infonderanno ulteriore energia alla "nazione sciita" in Iraq, a dispetto delle sue fratture interne.
A Mosca devono invece affrontare una questione più profonda, ovvero il significato della continua guerra di illazioni mandata avanti dallo "stato profondo" degli USA e diretta contro Trump, colpito anche mentre era in visita di stato in un altro continente. La campagna non ha conosciuto alleviamenti, anzi, la gragnuola si è addirittura rafforzata. Sembra che il suo obiettivo sia quello di rendere l'amministrazione Trump uno zombie, più che quello di mettere il Presidente in stato d'accusa.
Più avanti nel corso dell'anno è possibile che negli USA si verifichi una crisi finanziaria: all'inizio di ottobre il debito interno raggiungerà il picco. La FED sta avvisando senza enfasi gli investitori che i mercati azionari possono risentirne. In sostanza, l'AmeriKKKa deve affrontare incertezze inasprite, ed un'estate ed un autunno densi di contese che potrebbero rivelarsi anche violente.
Bill Clinton, minacciato di impeachment, fece una guerra. Anche un Trump messo all'angolo potrebbe farlo: o la guerra, o sfidare lo "stato profondo" e farci la pace. Mosca deve valutare con prudenza queste eventualità, e lo farà senz'altro. Trump potrebbe anche cercare di fare le due cose: muovere guerra alla Corea del Nord, e cercare la distensione con Mosca.

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